STUDI RISORGIMENTALI

Cosa dicono di noi

Le Camicie Rosse di Mentana

Armi e fatti d'arme

Battaglie nella prosa e nella poesia

Canti patriottici e poesie

Il Regno d'Italia

Italiani in Africa

4a guerra d'Indipendenza

I confini d'Italia

Le terre Irredente

Il genocidio degli Italiani

Corpi ed armi dell'Esercito Italiano

Link



 

I confini d'Italia 

Dio segna i confini d'Italia

(bassorilievo nel battistero di S. Pietro in Roma)

 

Il confine d’Italia al Brennero

La concezione del confine d’Italia al Brennero non è di ieri: appena accennata in età classica ed enunciata da prìncipi, letterati e geografi nel corso di sette secoli, si afferma durante il Regno Italico mentre va maturando la coscienza nazionale degli Italiani; nel Risorgimento diventa passione; nella storia del ‘900 impegno ed atto di fede.La serie delle testimonianze è lunga ed eloquente. “Non sine aliquo divino numine” la Natura aveva posto la cinta alpina a difesa dell’Italia. Così Cicerone e, più tardi, Polibio. Nel pensiero romano il Brennero è “Insuperabilis finis” al settentrione d’Italia. È il pensiero di Velleio Patercolo, Floro e ancora di Cassiodoro, ultima luce di Roma. Nel periodo carolingio il Brennero fu considerato naturale confine che separa e, allo stesso tempo, unisce in gara di civiltà i popoli che alla civiltà avevano dato il maggior contributo. È il confine riconosciuto dai successori di Carlo Magno che, nella nota divisione, attribuirono al Regno d’Italia tutta la regione retica al di qua dello spartiacque. Dopo il Mille la concezione si attenua. La ritroviamo presso qualche cronista, come il ferrarese Riccobaldo Gervasio per il quale “Universa Italia surgit a jugis Alpium”, e in alcuni documenti ecclesiastici quali la relazione del vescovo Corrado di Coira alla Dieta dell’Impero del 1287 il quale testimoniò che la Valle Venosta, per intero coi possessi del Conte Tirolo, spettava al Principato Vescovile di Trento che notoriamente appartiene all’Italia (“Qui ad Italiam dignoscitur pertinere”) e in una lettera della Curia Romana del 1360. Fra l’una e l’altra si inseriscono i noti versi di Dante e Petrarca che alludono vagamente ad una unità geografica, se non politica, dell’Italia estesa “Sovra Tiralli”, allo “Schermo delle Alpi”. Più espliciti nell’affermare la validità del confine allo spartiacque sono gli umanisti. Nel ‘400: Flavio Biondo, forlivese, in un passo significativo e Pio II (Enea Silvio Piccolomini), già canonico di Trento e parroco di Sarentino nel 1446, conoscitore della regione. Seguono il cronista mantovano Pincio nel 1546, fra Leandro Alberti e Giovanni Magini, quest’ultimo autore della splendida carta d’Italia del ‘600 dove pose  il confine al Brennero sulle Alpi Aurine e Breonie e indicò i villaggi e le borgate del basso bolzanino con gli usuali nomi italiani che le carte olandesi di quel tempo ripetono. La serie continua, dal Ranza al Fantoni, fino al momento critico della storia: il periodo napoleonico. È noto come il Viceré d’Italia Eugenio riconoscesse unico giusto confine quello tracciato dalla natura stessa dove si dividono le acque dell’Adriatico da quelle del mar Nero e come lo stesso Bonaparte approvasse tale riconoscimento in una lettera al ministro Champigny (1810). Non diversamente le società segrete disegnando la grande Nazione Ausonia “delimitata a Nord dalle più alte montagne del Tirolo” e da Oriente dalla Giulie e dalle Dinariche, sancivano il principio del confine naturale che sarà poi accolto dalla prima generazione del Risorgimento. “L’adeguamento delle dimensioni territoriali alle linee visibilmente tracciate dalla natura” era stato già proclamato dal Romagnosi che formulò la teoria filosofico-giuridica dello Stato Nazionale: a questo si ispira il Trentino Frapporti che include geograficamente nella regione Tridentina tutto l’Alto Adige. L’enunciazione del Frapporti precede di sette anni il ’48 che vede i Trentini divisi nelle loro aspirazioni: da un lato i particolarismi che mendicano a Francoforte formali autonomie per i circoli di Trento e di Rovereto, ben meritando la tagliente risposta del Kohlparzer: “Beati possidentes! Noi possediamo il Trentino e ce lo teniamo; questo il nostro diritto delle genti!”; dall’altro quei patrioti che in un indirizzo a Carlo Alberto esprimono il voto del “Confine d’Italia al Brennero”. Per Garibaldi il Brennero è l’ultima mèta d’una successione di tappe, d’una marcia unica, infatti, Napoli, Roma, Venezia sono per lui gli obiettivi immediati oltre i quali sono quelli irrinunciabili: le Alpi Atesine e le Dinariche. Egli è consapevole del valore morale, prima che militare, della frontiera alpina, il “rigido confine d’Italia” del Petrarca: all’eroe Nizzardo guardano i Trentini che sperano in una redenzione di tutto il bacino dell’Adige; quanto mai eloquente è il loro voto al condottiero entrato vittorioso a Palermo “sia una l’Italia da Agrigento al Brennero”. Tra il ’66 ed il ’70, il confine alpino trova ancora numerosi assertori tra cui il Mazzini che formula le sue rivendicazioni ricalcando i consueti motivo goethiani della natura italica del paesaggio atesino e le ovvie considerazioni ideografiche. Seppur vagamente, egli indica i termini d’Italia “oltre Brunopoli” (Brunico e Brunecco nella tradizione ladina). La conversione del Mazzini all’ideale dell’Alto Adige italiano appare, in verità, recente ed occasionale, infatti, ripudiato il fantasioso progetto di “Confederazione Alpina” (Manifesto della Giovine Europa fondata in Svizzera, con scarsa convinzione, nel 1834) che avrebbe dovuto riunire in un sol nesso Elvetici, Savoiardi, Carniolani, Carinziani e Tirolesi dell’uno e dell’altro versante, il Mazzini giunge a proclamare la rivendicazione della frontiera del Brennero esplicitamente nell’infuocato clima del ’66. Conquistata Roma, ogni aspirazione ai naturali termini d’Italia viene meno, infatti, si parla ormai di “opera compiuta”, di “unità conseguita”, mentre la piaga del parlamentarismo, la flessione degli animi determinano lo scadimento degli ideali. Il sogno di una Patria redenta fino alle Alpi, resta relegato nelle aule degli atenei e nel cuore dei poeti. Infatti, già nel primo decennio del ‘900, si agita nella coscienza italiana il problema dell’irridentismo alimentato dalle persecuzione della Monarchia asburgica e dal ricordo del martirio di Oberdan. Nasce il nazionalismo, s’invocano Trento e Trieste, ma al Brennero non si accenna che timidamente. Solo una voce proclama, sfidando le prigioni austriache, il diritto dell’Italia ai “termini sacri”: Ettore Tolomei.  Gli altri vengono poi sulla scia di questo apostolo del Risorgimento. L’esile patriota che osò affermare l’italianità del Brennero dall’avamposto di Gleno e, tangibilmente, sulla Vetta d’Italia dove piantò il primo Tricolore, trascinò col suo slancio e la sua perseveranza gli altri magnanimi non ultimo Cesare Battisti che, superato il fosso del salornismo, proclamò le “rivendicazioni intere” con il mirabile incitamento: “C’è il testamento di Garibaldi e di tutti i fautori dell’unità della Patria che indicano la suprema necessità di integrare l’Italia fino alle Alpi. Di questo sentimento furono assertori i poeti d’Italia dal Carducci al Pascoli e banditori uomini come Bovio, Cavallotti, Embriani. Alle firme di costoro che sono le vere firme del popolo, il popolo deve fare onore”.

 

Il risveglio d'Italia di Giovanni Bertacchi

Fratelli, avvampa la patria

Nel vento delle bandiere:

d'ogni strumento di artiere

un'arma vindice uscì.

Esercitate milizie

avvezze ai nobili affanni,

noi seminiamo negli anni

questi titanico dì.

Squillino, squillino, squillino,

le nostre balde fanfare,

legando i vertici al mare.

Il fiero popolo al Re.

Tutta la gloria d'Italia

nei nostri cuori è presente,

e all'incompiuto Oriente

spinge la nostra virtù;

usi a crear le metropoli

e le profonde arature,

forzando l'epiche alture

porterem Roma lassù.

Nuvola, nuvola, nuvola,

sta sulla nostra trincea,

come una candida idea

che nutra il fulmine in sé.

Fugga la truce Bicipite,

fugga dal Brennero a Pola

dove l'anela parola

di Dante padre già sta;

e il flusso eterno dell'Adria,

tre le due gemine arene,

baci l'Italia se viene,

baci l'Italia se va.

Cantino, cantino, cantino

l'acque, i villaggi, le chiese,

quanto sia bello il paese

che la natura ci diè.

Dio che t'investi nei popoli

come aquilone in foresta,

mostri l'Italia ridesta

quanto nei secoli si può.

Tutta una fede è l'Italia,

tutta una immensa preghiera:

restituiscila intera

come il tuo cuor la sognò.

Rondine, rondine, rondine,

via per l'azzurra distesa,

reca i fratelli in attesa

reca l'annunzio con te!