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La vittoria mutilata Nonostante il tentativo compiuto dall’imperatore  d’Austria,  Carlo I di costituire uno Stato Federale per tamponare vista la inevitabile disfatta la rivolta interna delle tantissime nazionalità, il medesimo non riuscì ad approdare a nulla in quanto Ungheresi, Boemi, Cechi, Sloveni e Croati, crearono governi indipendenti secondo le teorie dell’americano Wilson, tentando così di apparire come non corresponsabili della sconfitta, non sedendo al tavolo degli sconfitti ma addirittura  tentando di sedere  a quello dei vincitori. Gli Slavi  rivendicavano tutta la costa  adriatica con l’Istria e anche Trieste per costituire il loro nuovo stato  e slavi furono i reggimenti che più si accanirono per ostacolare la nostra avanzata, ancora inquadrati nell’armata Austro- Ungarica quando il 24  ottobre  gli Italiani lanciarono l’attacco su Vittorio Veneto. Il 4 Novembre navi Italiane erano giunte anche nel porto di Fiume ma non poterono prenderne possesso perché stranamente la città non era compresa  entro la linea armistiziale seppure i suoi abitanti, con il Sindaco Gossich in testa, imploravano l’annessione all’Italia appellandosi al plebiscito del 30 ottobre, al principio ed al diritto all’autodeterminazione  dei popoli. I Serbo-Croati, in pratica, gli sconfitti, occuparono la città. Il Comando interalleato inviò le truppe Italiane  ed Americane e, successivamente, Francesi ed  Inglesi costringendo gli Slavi a ritirarsi. Stranamente però, mentre ovviamente gli italiani fraternizzarono subito con la maggioranza della popolazione di nazionalità Italiana di Fiume, gli alleati e, diciamolo subito, i nostri  “Cugini” Francesi fraternizzarono con la minoranza Slava garantendo la cessione a quest’ultima della città ed addirittura aizzando gli Slavi contro di noi. Insomma nel 1915 gli alleati ci avevano  chiamato a gran voce, mentre adesso ci negavano quello che la storia ci riconosceva come nostro e Wilson  era addirittura contrario anche alla cessione all’Italia della Dalmazia che, bontà sua, egli riconosceva come territorio Iugoslavo. A Parigi, alla conferenza per la pace, gli italiani si accorsero che  nessuno appoggiava le loro richieste stabilite  con il Trattato di Londra del 1915, anzi, si pensava di dichiarare Fiume città libera, arretrare il nostro confine a mezza Istria ed annettere la Dalmazia alla Iugoslavia. Così la nostra delegazione si ritirò il 24 ed i bravi ex alleati, assente la delegazione Italiana, si divisero le ex colonie tedesche e turche dell’Asia e dell’Africa non ricordandosi che a combattere gli imperi centrali era presente anche l’Italia. Il 23 Aprile, Wilson, con notevole faccia tosta,  aveva fatto pubblicare sulla stampa francese “un messaggio agli italiani” con il quale ci chiedeva di essere generosi con gli Slavi,  come se nella guerra appena conclusa  sulla linea del fronte, gli Slavi ci avessero gettato caramelle e non cannonate, come se i 600000 morti, il milione di feriti e mutilati fossero tutti  il prodotto di qualche altra guerra  dove Sloveni, Serbi e Croati erano lontani mille miglia. Insomma bisogna riconoscere  che era giusto il grido di protesta di Orlando e Sonnino che  dissero,  abbandonando il 24  la conferenza, “l’Italia preferisce la fame al disonore.”  Irripetibile e sconcio,  che cosa rispose  il presidente  francese che soffriva di  mal di reni al nostro Orlando. Inoltre, i nostri bravissimi alleati pretesero, successivamente, il ritorno della nostra delegazione al tavolo della pace, minacciando di richiedere immediatamente all’Italia il pagamento dei debiti contratti ai fini della guerra. In Italia, intanto, l’opinione pubblica era quanto mai commossa per il destino degli Italiani di Fiume, ma era anche  preoccupata  per problemi economici del primo dopoguerra. Per Fiume  italiana, oltre a tutti i cittadini fiumani, cominciò a battersi un neo Comitato per le rivendicazioni nazionali con a capo Giovanni Giuriati, Benito Mussolini con il Popolo d’Italia e il poeta Gabriele D’annunzio  che si  era già scagliato contro gli alleati poco prima della fine della guerra  quando già si ebbe sentore del loro tradimento.  Il Consiglio  Nazionale di Fiume a lui si rivolse per un aiuto ed egli, in Roma, tenne discorsi infuocati domandando l’intervento dell’esercito. Cominciarono a girare voci  di eventuali colpi di stato nei quali si dicevano coinvolti  il Duca d’Aosta, d’Annunzio e Mussolini. Il 30  di giugno si riunirono a Roma  d’Annunzio, Gossich sindaco di Fiume e Giovanni Giurati, si pensò di armare la resistenza Fiumana ipotecando gli impianti industriali e del porto di Fiume e si cominciò l’arruolamento dei volontari con l’associazione irredentista  Trento e Trieste. A Fiume  la situazione andava precipitando e  le continue manifestazioni a favore dell’Italia e dell’annessione della città le causavano ostilità sia da parte della minoranza slava sia delle truppe Francesi d’occupazione. Il 6 luglio 1919, sconsideratamente, ufficiali francesi osarono strappare  i nastri tricolori che le donne fiumane portavano in petto, fu la rivolta che poi sarà chiamata  “i Vespri Fiumani”, intervennero soldati e  marinai Italiani, si sparò sui francesi  e si ebbero nove morti e parecchi feriti. La commissione d’inchiesta, nominata  dagli alleati, pretese  lo scioglimento del Consiglio  Nazionale  Fiumano, del corpo dei Volontari ed il ritiro dei Granatieri di Sardegna come responsabili dei fatti. Il 25 Agosto i granatieri si ritirarono salutati da un mare di tricolori agitati da una folla commossa e piangente, il sindaco della città di Fiume nel suo discorso disse : “La Patria vi chiama altrove, ma il vostro cuore resta con noi. Voi ora li conoscete i Fiumani! Dite dappertutto, ove sosterete, ai nostri fratelli, che noi siamo italiani da secoli, e anche staccati dalla Madre siamo sempre stati figli devoti e amorosi….”